L'EVOLUZIONE DELLO STATO E LE SUE FORME
Stato
moderno e sovranità
La parola "Stato", adottata nel Principe
(1513) di Niccolò Machiavelli (1469-1527) per indicare il potere politico
organizzato, deriva dal latino status, termine usato originariamente per
designare una "posizione" o situazione, tanto pubblica e collettiva
quanto personale e individuale. Nell'espressione status rei publicae il termine
indicava la situazione dello Stato (in latino res publica, cioè "cosa che
riguarda la comunità"). Con il tempo, l'espressione res publica (da
cui il nostro "repubblica") ha finito per designare una forma
di Stato specifica, quella repubblicana, per l'appunto. Per alludere al genere,
e non solo a una specie particolare, si è adottato invece il termine status,
ovvero "Stato", che contraddistingue il lessico politico dell'Europa
moderna.
Secondo Max Weber, il
cambiamento di significato del termine "Stato" corrisponde a un
cambiamento radicale nella natura del potere politico verificatosi proprio in
età moderna, quando fanno la loro comparsa gli Stati nazionali o territoriali,
caratterizzati da solidi confini territoriali, da un efficiente apparato
amministrativo (burocrazia) e dal monopolio dell'uso legittimo della forza.
L'attributo
fondamentale dello Stato moderno è la sua sovranità: con questo termine si
indica un potere sommo, da cui derivano tutti i poteri inferiori (ad esempio, i
governi locali e le funzioni amministrative), e che non riconosce al di sopra
di se stesso alcun'altra autorità da cui possa essere fondato.
I primi teorici della
sovranità dello Stato furono il francese Jean Bodin (1529-1596) e l'inglese
Thomas Hobbes ( 1588-1679), che nelle loro opere auspicarono la formazione di
uno Stato forte e unitario, capace di porre fine alle guerre interne e di
garantire la pace, condizione necessaria per lo sviluppo economico e sociale.
Attraverso la riflessione di Bodin e di Hobbes si precisa il concetto di un
ordine apolitico", inteso come progetto razionale di costruzione di
rapporti sociali pacifici, contrapposto a un ordine "naturale",
caratterizzato dall'assenza di regole e quindi da una condizione di insicurezza
generale Al confine tra...).
Stato
assoluto
La prima forma
istituzionale di Stato moderno è stata la monarchia assoluta, il cui esempio
più significativo è costituito dal regno di Luigi XIV di Francia (1661-1715),
che rafforzò il potere centrale e monopolizzò i servizi. Il tratto essenziale
di questa forma di Stato è l'accentramento del potere nella figura del monarca,
che esercita in questo modo, direttamente o indirettamente, tutte le funzioni
della sovranità.
La legittimazione teorica dell'assolutismo si trova
nell'opera di Thomas Hobbes, il quale ritiene che esso costituisca la soluzione
necessaria per uscire dalla condizione di guerra permanente in cui si
troverebbe per natura il genere umano. Lo Stato assoluto è per Hobbes l'esito
di un patto irrevocabile, con cui gli individui cedono a una sola persona o
istituzione la libertà totale di cui essi godono per natura, ricevendone in
cambio pace e sicurezza. Questo patto decreta dunque una sottomissione totale
degli individui al potere politico, che diventa così la sola fonte legittima
delle norme necessarie alla convivenza sociale. Si tratta di una tesi
"estrema" che oggi può apparirci decisamente reazionaria, ma che parte
in realtà da un presupposto radicalmente nuovo, ossia quello della laicità del
potere politico. Secondo Hobbes, infatti, l'autorità dello Stato, lungi dal
derivare da Dio, o comunque da un principio superiore trascendente, scaturisce
semplicemente da una sorta di "contratto" stipulato dagli uomini per
porre fine a una condizione originaria reputata insostenibile.
Monarchia
costituzionale
In secondo luogo, è da
ricordare la monarchia costituzionale, le cui origini sono inglesi: esse
risalgono al regno di Guglielmo III d'Orange e della moglie Maria, due
principi olandesi che nel 1689 posero fine al dominio personale
assolutistico degli Stuart, restituendo al parlamento britannico le sue
prerogative e ripristinando la libertà di esprimere le proprie idee politiche e
di professare la religione protestante, che gli Stuart avevano cercato di
estirpare dal paese. Il 13 febbraio 1689 Guglielmo e Maria giurarono fedeltà a
un documento elaborato dai membri dei due rami del parlamento (la Camera dei
Lords e la Camera dei Comuni), ovvero alla cosiddetta "Dichiarazione dei
diritti" (Bill of Rights), che è considerata il modello di tutte le successive
Costituzioni monarchiche dette "liberali", in quanto rispettose delle
fondamentali libertà personali e politiche (di pensiero, di parola, di
religione, di associazione).
Non a caso, fu proprio
nel quadro di riferimento delle monarchie costituzionali che, tra i secoli
XVIII e XIX, si sviluppò il liberalismo politico, corrente di pensiero e di
azione che, assegnando precisi limiti al potere statale, si impegnava per il
progressivo riconoscimento a tutti i cittadini dei diritti civili (libertà di
scegliere dove risiedere e quale attività intraprendere, di disporre dei propri
beni, di esprimere le proprie opinioni, di professare la propria religione),
ovvero quei diritti che definiscono uno spazio in cui il cittadino può agire
liberamente, fuori dal controllo dello Stato.
La tradizione liberale
prestò particolare attenzione anche all'articolazione interna del potere: se lo
Stato assoluto è caratterizzato dalla concentrazione nelle stesse mani dei 3
poteri fondamentali (legislativo, cioè il potere di fare leggi; esecutivo, cioè
il potere di amministrare lo Stato; giudiziario, cioè il potere di applicare la
giustizia), il liberalismo ritiene invece necessaria una loro equilibrata
distribuzione.
I diversi poteri vanno
pertanto affidati a organi reciprocamente indipendenti (oggi' ad esempio, in
Italia il parlamento esercita il potere legislativo, il governo detiene quello
esecutivo e la magistratura amministra il potere giudiziario), secondo il
principio della separazione dei poteri (spesso indicato anche con l'espressione
inglese balance of power)' che costituisce un requisito classico sia del liberalismo
sia delle odierne democrazie, di cui parleremo tra poco.
Il limite delle monarchie costituzionali fu l'esiguità della base elettorale: i
cittadini che eleggevano i loro rappresentanti al parlamento erano una
minoranza: in pratica solo i possidenti, spesso legati ai candidati da un
rapporto di tipo clientelare.
Democrazia
liberale
ln terzo luogo,
bisogna elencare la democrazia liberale, che è la forma odierna del cosiddetto
"Stato rappresentativo", in cui non sono rappresentati i ceti sociali
o le corporazioni economiche (come avveniva nel Medioevo e all'epoca dell'assolutismo),
ma i singoli individui, considerati uguali di fronte alla legge.
Gli Stati
rappresentativi ereditano dalla tradizione liberale il principio fondamentale
della separazione dei poteri e l'attenzione ai diritti civili dei singoli,
visti come limite invalicabile dal potere statale; inoltre sono
"democratici" perché assumono il principio della sovranità popolare
("democrazia" significa per l'appunto "governo del popolo")
come fonte del potere stesso. Nelle moderne democrazie, pertanto, i singoli
individui, considerati uguali di fronte alla legge, sono titolari dei medesimi
diritti politici. Tra questi, il più importante è senza dubbio quello che
sancisce la libertà di tutti i cittadini di partecipare attivamente alla vita
della nazione, eleggendo i propri governanti e potendo essere eletti essi
stessi mediante libere elezioni a suffragio universale (ovvero con diritto di
voto esteso a tutti i cittadini maggiorenni).
Nelle moderne
democrazie rappresentative, il compito di orientare la scelta politica delle
masse spetta generalmente ai partiti, complesse associazioni che si rivelano
necessarie per stabilire un collegamento tra gli elettori e i candidati.
Come osserva il
politologo italiano Giovanni Sartori (nato nel 1924) nel suo libro La
democrazia in trenta lezioni, la nozione di "democrazia" non è priva
di problemi interpretativi, a partire dalla difficoltà di definire univocamente
chi sia il "popolo" che deve governare.
l'alternativa tra la
dimensione pubblica dello Stato e quella privata della famiglia rimase
pressoché invariata fino all'epoca moderna, quando soprattutto a causa della
rivoluzione industriale venne stabilmente modificata con l'inserimento di una
terza possibilità: quella rappresentata dalla società civile, intermedia tra
l'ambito politico e l'ambito familiare, con cui condivideva rispettivamente la
dimensione pubblica e il carattere tendenzialmente volontario e paritetico
delle relazioni tra i membri adulti.
Insieme con il
concetto di "società civile", in epoca moderna nacque anche il
problema del rapporto di quest'ultima con lo Stato, problema per il quale la
riflessione politica ha ipotizzato diverse soluzioni: dall'idea della
supremazia della prima sul secondo - sostenuta, ad esempio, dal pensatore inglese
John Locke (1632-1704) e dalla tradizione liberale è la tesi del filosofo
tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) è il caso del filosofo
tedesco Carl Schmitt (1888-1985).
Stato
totalitario
Il Novecento ha conosciuto un esempio particolarmente significativo del processo di espansione dello Stato: si tratta dello Stato totalitario. Fenomeno politico del tutto nuovo, il totalitarismo si afferma nella prima metà del Novecento, quando, in nome di un'ideologia, alcuni Stati cominciano a regolare a tal punto la vita dei cittadini da imporre loro non soltanto le norme della civile convivenza. ma anche i valori e gli stili di vita. È dunque evidente che lo Stato totalitario è un sistema politico radicalmente opposto a quello rappresentativo (liberale e democratico), in quanto considera i singoli individui come meri elementi dell'organismo statale, che non deve provvedere alla loro tutela, ma anzi può servirsene per i propri fini.
Gli storici
individuano le esemplificazioni più compiute del totalitarismo nel fascismo
italiano, nel nazismo tedesco e nello stalinismo sovietico, tutti affermatisi,
non a caso, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, cioè in un'epoca
contraddistinta da una profonda crisi dello Stato tradizionale e da una
conseguente involuzione in senso autoritario. Oltre a Italia, Germania e Unione
Sovietica, questi processi hanno interessato per certi versi anche altre realtà
nazionali, come ad esempio la Spagna, con la lunga dittatura del generale
Francisco Franco (che governò dal 1939 al 1975), o il Portogallo, con il
dittatore Antonio de Oliveira Salazar (che restò al potere tra il 1932 e il
1968).
Il totalitarismo,
tuttavia, presenta alcuni tratti peculiari che impongono di distinguerlo dalle
dittature, presenti in modo ben più massiccio in ogni epoca storica. La sua
caratteristica più importante è il completo e assoluto assorbimento della
società civile da parte dello Stato, ossia la sistematica abolizione di ogni
distinzione tra dimensione pubblica e dimensione privata. In questa
prospettiva, come abbiamo accennato, nei regimi totalitari ogni ambito della
vita dei cittadini deve essere modellato sulla base dei principi politici
vigenti e subordinato agli interessi strategici dello Stato: dagli aspetti
economici e produttivi a quelli dell'educazione e della formazione, a quelli
della vita personale (compresa la sfera più intima dei comportamenti sessuali).
E se le varie dittature della storia possono aver eguagliato, in alcune fasi,
la crudeltà dei regimi totalitari, certo non hanno mai perseguito un controllo
così sistematico della vita individuale.
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