Come lavorano gli antropologi?
Non è facile condensare in una
definizione di poche righe le caratteristiche salienti della professione di
antropologo. La letteratura antropologica, infatti, comprende moltissime
tematiche: spazia dall'osservazione delle malattie all'analisi dei sistemi di
parentela, dalla decifrazione di antiche scritture alla comparazione di miti e
leggende, dallo studio di scheletri di ominidi vissuti milioni di anni fa
all'interpretazione della magia e della stregoneria. Si ha l'impressione che
l'antropologia faccia propri gli interessi di tutte le altre scienze dell'uomo,
riservando per sè una quota maggiore di libertà e coraggio. Se il campo di
indagine appare estremamente vario ed eclettico, al punto da rendere difficile
la risposta alla domanda: "Di che cosa si occupano gli antropologie",
meno arduo è spiegare come essi concretamente lavorano, perché esiste un
ancoraggio solido per questa risposta, rappresentato dal lavoro etnografico sul
terreno che, a detta dell'antropologo statunitense Clifford Geertz, costituisce
la specificità operativa dell'antropologia nel contesto delle scienze umane e
sociali. Nessun'altra disciplina, infatti, contempla una presenza così?
durevole e costante del ricercatore sul campo - il luogo, materiale e
simbolico, in cui una cultura è prodotta e può essere osservata di prima mano
dai ricercatori - a contatto con i nativi, di cui lo studioso condivide la vita
quotidiana e cerca di afferrare la mentalità. Per fare un paragone, le indagini
di sociologia e psicologia sociale sono mediamente più rapide di un'indagine
antropologica, e la permanenza sul campo per queste discipline, quando è
prevista, è molto più breve, cos'è come è maggiore il distacco dall'oggetto di
studio. L'importanza del lavoro sul campo si connette direttamente alla
centralità della nozione di contesto: per gli antropologi, infatti, gli
elementi di una cultura (comportamenti individuali e sociali, norme, usanze,
istituzioni ecc.) possono essere adeguatamente compresi e correttamente
valutati soltanto se vengono situati nel loro contesto di appartenenza. Ne
erano consapevoli già gli autori classici, in particolare Malinowski, che
riteneva indispensabile afferrare il punto di vista dell'indigeno, per rendersi
conto della sua visione del suo mondo. La contestualizzazione di usanze e
credenze le rende meno estranee, più comprensibili e provviste di una propria
razionalità. Nella seconda metà del Novecento per qualificare i due possibili
punti di vista sul mondo, quello interno del nativo e quello esterno
dell'antropologo, si è fatto ricorso agli aggettivi "emico" ed
"etico".
La ricerca sul campo
Nel corso dell'indagine sul campo di regola l'antropologo utilizza metodi di
tipo osservativo, scelti in base alla situazione in cui opera e tenendo conto
degli scopi che la sua ricerca si prefigge.
L'osservazione può essere:
- Semplice: l'antropologo utilizza i propri sensi senza
ricorrere agli strumenti della moderna tecnologia e annota le sue
osservazioni sul taccuino in modo piuttosto libero e personale, in forma
discorsiva e corredata da schizzi e disegni; Attrezzata: l'antropologo si
serve di una strumentazione che può comprendere macchina fotografica,
videocamera, registratore vocale, strumenti di misura e rilevazione delle
caratteristiche del territorio e schede di osservazione predisposte
che indicheranno la data, l'ora, la durata dell'osservazione, il
luogo esatto ), le circostanze, le persone presenti e i loro ruoli, la
strumentazione utilizzata, gli aspetti ambientali che possono influenzare
eventualmente la situazione (temperatura, rumore, illuminazione). Le
conversazioni e i dialoghi verranno riportati o riassunti nella forma del
discorso diretto.
- Esterna: il ricercatore si pone all'esterno o ai margini
della popolazione studiatasi lascia avvicinare gradualmente dai suoi
membri. Si tratta di un metodo usato anche in etologia umana, una
disciplina che studia comportamenti universalmente diffusi come il
sorriso, il saluto, le manifestazioni di aggressività; interna o
partecipante: il ricercatore condivide la vita della popolazione studiata,
cerca di entrare nella mentalità dei suoi membri e di assumere il loro
punto di vista. L'osservazione partecipante è considerata la tecnica
antropologica di indagine per eccellenza, anche se non si tratta di un
metodo facilmente codificabile come gli altri tipi di osservazione: ha un
carattere "artigianale" e richiede doti particolari di
immaginazione, intuizione e capacità di relazionarsi con gli altri, oltre
a uno spiccato spirito di adattamento a condizioni ambientali e di vita
spesso difficili.
L'indagine antropologica può svolgersi in molti scenari diversi: in un villaggio amazzonico, nella regione artica, nelle periferie delle grandi metropoli europee ecc. In ogni caso, sia che analizzi una tribù amazzonica, sia che compia una ricerca sui gruppi giovanili di una metropoli occidentale, per l'antropologo è fondamentale acquisire un particolare modo di mettere a fuoco l'oggetto d'indagine. L'essere vicini o lontani dal proprio paese e dal proprio contesto di vita non comporta l'adozione di strategie di ricerca diverse, perché, in antropologia, non conta la distanza geografica, ma la distanza culturale tra l'osservatore e la realtà studiata, che va sempre in qualche modo "attivata". In altri termini: avvicinandosi a un gruppo sociale delle moderne metropoli, l'antropologo dovrebbe provare un senso di estraneità e di spaesamento simile a quello che proverebbe al primo contatto con popolazioni di altri continenti. Questo atteggiamento, che è fondamentale e tipico della ricerca antropologica, è chiamato sguardo da lontano, espressione con cui si allude al distanziamento psicologico che consente all'antropologo di cogliere il senso unitario e le connessioni interne della cultura presa in esame, mantenendo uno sguardo distaccato e obiettivo, cioè privo di eventuali schemi mentali e pregiudizi derivanti dalla propria cultura di appartenenza.
Nonostante il numero sempre maggiore di indagini antropologiche effettuate in seno alla cultura occidentale, per molte persone vale ancora oggi l'immagine dell'antropologo tradizionale: uno spirito avventuroso e romantico che lascia le comodità della vita accademica per recarsi in villaggi sperduti a condividere la vita delle popolazioni indigene. Hanno notevolmente contribuito alla diffusione di quest'immagine studiosi come Bronislaw Malinowski, Ruth Benedict, Margaret Mead e Claude Lévi-Strauss, che sono stati i grandi protagonisti dell'antropologia novecentesca e che per lunghi periodi soggiornarono in Africa, Oceania, America del Sud.
Il metodo di ricerca più diffuso tra gli antropologi è, come abbiamo già detto, l'osservazione partecipante, che prevede un’”immersione" dello studioso nella società presa in esame. Essa fu codificata e proposta come metodo scientifico agli inizi del XX secolo dall'antropologo britannico Bronislaw Malinowski (1884-1942).
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